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L'ASSEDIO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 giugno 1999
 
di Bernardo Bertolucci, con Thandie Newton, David Thewlis (Italia, 1998)
 
Per la semplificazione delle psicologie, che rende ardua una qualsiasi identificazione; ma, più ancora, per la riduttività della sceneggiatura, il cinema di Bertolucci (anche questo ci avevano fatto dimenticare le sue avventure orientali) è sempre stato di referenza, letterario e, ancora, melodrammatico: uno spettacolo che - come quello operistico - andava visto da una platea distante. Che ci permettesse di gustare i rinvii del mito: ma d'ignorare la ciccia del cantante. Un cinema dell'immaginazione poetica, che può permettersi anche d'ignorare la mancanza di logica della costruzione drammatica.

A parte il piacere dell'autocitazione (questo si diceva a proposito di IO BALLO DA SOLA), mi sa che all'autore non dispiaccia un giudizio del genere. Prova ne sia questo L'ASSEDIO nel quale, dopo non poche svolte alla propria carriera, Bertolucci sembra imprimere una sterzata piuttosto vigorosa al proprio cinema.

In un appartamento dalla collocazione un po' tanto sofisticata per la situazione finanziaria del protagonista (piazza di Spagna...) un pianista inglese (il David Thewlis di ben altra tempra sotto l'occhio di Mike Leigh) si dichiara inutilmente alla ragazza africana che gli fa da colf. Ma anche la rinuncia, a volte, può tradursi in seduzione. Cosi, questa storia d'amore si fa muta, ma non per questo meno forte e sensuale.

Bertolucci (furbescamente? Ma la furbizia è sempre stata una componente del suo talento...) si riferisce alla parte migliore della propria ispirazione: il fascino degli oggetti, il fruscio delle sete, la corposità dei colori, la golosità dei suoni, captati come profumi.

In questo senso, gli interni de l'ASSEDIO ricordano il meglio del contenitore ormai mitico dell'ULTIMO TANGO: e conferiscono a questa storia quell'eco di memorie antiche che ne fa una delle cose migliori dell'ultimo Bertolucci.

Fra molte preziosità, rimangono i soliti interrogative: dei temi presi in prestito ed orecchiati (il fascino tra vittima ed aguzzino) delle psicologie un po' spicce (ed un protagonista maschile giustamente dissacrante, ma un po' ballonzolante...), delle conclusioni se non proprio infantili perlomeno semplicistiche: come di qualcuno che vive prigioniero dei propri (preziosi) sogni ma che rifiuta l'aria che tira fuori dalle persiane socchiuse sui suoi splendidi ambienti, sempre un po' troppo da Vogue Arredamento...

Riconosciamolo, ha fatto più sforzi del solito: la cinepresa a spalla ed il suono in diretta (tutto, coraggiosamente, all'opposto del cinema alla grande de L'ULTIMO IMPERATORE), il prologo politico sull'Africa. Ed infatti è quanto di meglio abbia sfornato il suo talento deviato negli ultimi tempi.


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